Era l’ultimo degli intoccabili

Chi è Alfonso Caruana. Dai primi passi a Siculiana, nell’Agrigentino, fino all’arresto in Canada. Nel 1996 in Italia era stato condannato in contumacia per traffico di droga

 

Antonio Nicaso

Era l’ultimo degli intoccabili. Alfonso Caruana, 52 anni, è stato arrestato  ieri dall’Rcmp a  Woodbridge, dove viveva da  alcuni  anni, con l’accusa di essere uno dei cervelli del riciclaggio internazionale di denaro sporco ed una delle menti del narcotraffico.

«Finalmente si sgretola  un pezzo di impunità», ha commentato Ben Soave, dirigente del nucleo integrato di Intelligence che ha coordinato le indagini.

Quando Caruana  si è trovato di fronte la polizia non si è scomposto, ha mantenuto l’atteggiamento di chi non vuole dimostrare debolezze. Due mesi  fa  aveva  brindato, quando al  telefono un suo parente gli aveva comunicato la  notizia  della  sua assoluzione al  maxiprocesso di  Torino dove era  stato accusato di traffico internazionale di droga. La lunga stagione di ricchezze accumulate con l’illegalità sembrava destinata a non finire mai. Aveva provato ad incastrarlo anche il giudice Giovanni Falcone nel 1989, avvalendosi  delle  dichiarazioni di un pentito. Ma  nonostante una condanna a  21  anni e dieci mesi di reclusione la polizia  italiana non era  mai  riuscita  a  arrestarlo.

Amico di politici, faccendieri, trafficanti di droga, la sua storia comincia  a  Siculiana, un paese di cinquemila abitanti dai muri bianchi di calce, che sorge su uno spuntone roccioso della costa meridionale siciliana, nei pressi di Agrigento. Gli  zii di Alfonso, Leonardo e Giuseppe Caruana, come Luciano Liggio, cominciano facendo i gabellotti per conto del barone Agnello e si dimostrano non meno crudeli e avidi del boss corleonese, anche se un po’ meno sanguinari.

Nel 1953, assieme al cognato Pasquale Cuntrera, vengono processati con l’accusa di duplice omicidio, incendi e abigeato, ma prosciolti "per non aver commesso il fatto”. È in quegli anni che i Caruana si legano ai Cuntrera. E presto le due famiglie finiscono per diventarne una, al punto che risulta impossibile distinguerli. Antonina Caruana, figlia di Giuseppe, sposa Paolo Cuntrera; le sorelle Vincenzina e Giu-seppina Cuntrera convolano a nozze con i fratelli Gerlando e Alfonso, figli di Carmelo Caruana, in un dedalo di nuove parentele acquisite. Al matrimonio di un cugino di Alfonso nel 1977 nella chiesa del Santo Crocifisso, a Siculiana partecipa, come testimone della sposa, Maria  Parisi, anche l’ex ministro democristiano, Calogero Mannino. 

Anche i Cuntrera-Caruana  come tanti altri presunti mafiosi siciliani risentono della pressione esercitata dallo Stato dopo la strage di Ciaculli, avvenuta il 30 giugno del 1963, nella quale vennero dilaniati dall’esplosione di un’automobile imbottita di tritolo sette carabinieri.

Dopo il 1963 i Cuntrera-Caruana lasciano Siculiana per sfuggire al soggiorno obbligato, un’espressione dell’impotenza delle autorità italiane e dell’impossibilità di far condannare i mafiosi in tribunale. Hanno in tasca la referenza di Giuseppe Settecase, boss di Cosa Nostra dell’Agrigentino, amico della famiglia Gambino, tra i partecipanti al summit di Appalachin nel 1957, il primo grande vertice siculo-americano.

Alfonso Caruana nel 1968 emigra in Canada. All’ufficio immigrazione dice di essere un elettricista, in tasca ha solo 100 dollari. Dieci anni dopo viene fermato all’aeroporto di Zurigo. È diretto in Germania, nella sua valigia  gli trovano 600.000 dollari. Se la caverà con una multa per non averli denunciati alla dogana. In Svizzera, Alfonso  va a vivere in una splendida villa nei pressi di Lugano. Nel 1970 si trasferisce in Gran Bretagna dove, secondo la polizia italiana, coordina il traffico di stupefacenti dalla Thailandia verso gli Stati Uniti e ricicla il denaro sporco rastrellato in Canada. Un fratello di Alfonso, Pasquale, un decennio più tardi, verrà arrestato a Weil Am Rhein per traffico di droga. Ed un altro fratello, Gerlando, per lo stesso reato finirà dietro le sbarre in Canada nel 1985 dove verrà condannato a 20 anni di reclusione.

Il primo a capire lo spessore di Alfonso Caruana negli anni Ottanta è Alessandro Pansa, dirigente del nucleo centrale anticrimine della Criminalpol di Roma. L’inchiesta parte nel 1985 dall’Inghilterra dopo il sequestro di 60 chili di eroina purissima. Uno dei principali fornitori di droga della famiglia Cuntrera-Caruana è Leonardo Greco, il potente boss di Bagheria. Alfonso Caruana versa un milione di dollari per Greco sul conto 356 presso la Credit Suisse Bank di Bellinzona. Altri versamenti vengono fatti sui conti cifrati di Nunzio La Mattina, ucciso a Palermo nel 1983, uomo legato a Pippo Calò, ora imputato con Giulio Andreotti nel processo per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli.

Ma non è un episodio isolato. Il 3 giugno del 1986 un telex ordina di trasferire dal conto 13492 di Alfonso Caruana presso la Discount Bank un milione di dollari nel conto 12/3085/9 della Fundlays Bank Plc di Limassol, a Cipro, intestato a Emanuele Corito, trafficante di stupefacenti e socio del turco Yasar Avni Musullulu, il capo dei Lupi Grigi, l’organizzazione politica responsabile dell’attentato a Giovanni Paolo II. Presto le influenze dei Caruana si allargano all’Inghilterra, ma anche al Canada, al Venezuela ed al Brasile dove, nel frattempo, si sono trasferiti altri componenti della famiglia. In Inghilterra Alfonso Caruana stringe amicizia con Francesco Di Carlo, boss della famiglia di Altofonte, uomo dei Corleonesi. Di Carlo a Palermo annovera tra i suoi amici e soci anche il principe Alessandro Calvello Mantegna di San Vincenzo, con il quale apre un night-club a San Nicola L’Arena, frequentato dal jet set palermitano. A casa del principe trascorre in quegli anni una breve vacanza anche la Regina Elisabetta con il marito Filippo di Edimburgo.

Secondo la Dea e la polizia italiana, i Cuntrera-Caruana riciclano il denaro della droga per conto di colombiani, siciliani, calabresi, turchi, russi. Miliardi di narcodollari. «La forza di questa famiglia», ammettono gli osservatori di mafia, «nasce dal fatto che essa non è organica a nessun gruppo, è al di sopra di tutti». Qualcuno battezza i Cuntrera-Caruana come i Rothschilds della mafia. Ma di una mafia che non conosce confini.

Alfonso Caruana, nel 1995 ritorna in Canada. E nel febbraio dello scorso anno finisce davanti ai giudici con l’accusa di evasione fiscale. Lui dice di essere in bolletta, di vivere in una casa presa in affitto a Woodbridge e di guadagnare 500 dollari al mese lavorando con il nipote Giuseppe Cuntrera in un autolavaggio. Per l’Rcmp, invece, nel 1981, l’anno in cui Alfonso Caruana aveva lasciato il Canada per trasferirsi in Svizzera, dal suo conto erano passati 21,6 milioni di dollari. Il Fisco canadese lo incalza: vuole sapere perché su un reddito di 28,5 milioni di dollari non è stato pagato un centesimo di tasse.  È un tira e molla, Caruana dichiara bancarotta. E alla fine viene condannato a pagare 90 mila dollari in tre anni. «Briciole», si inalbera il pubblico ministero, «per uno che controlla capitali enormi». Ma è l’inizio della fine. Il cerchio si stringe. Ed uno dei grandi alchimisti dell’economia sommersa finisce in manette in Canada, dopo averla fatta franca in mezzo mondo.

16 luglio 1998.