"Bloodlines" di Nicaso e Lamothe, un caso letterario in Canada

di Salvatore Ferlita - La Repubblica

Messi da parte coppole e fucili a canne mozze, la mafia con gli anni ha cambiato pelle e strategia, dimostrandosi pronta ad adeguarsi ai tempi nuovi. Gesualdo Bufalino, da par suo, ha descritto così questa trasformazione: «Oggi la mafia s'è fatta adulta, è diventata una lobby del male e s'è trasformata da società misticocriminale in macchina organizzativa e manageriale al pari d'una qualunque grande società industriale dei nostri tempi». Una mafia, per dirla con un aggettivo oggi alla moda, globalizzata, descritta con dati e riferimenti puntuali nel nuovo libro di Antonio Nicaso e Lee Lamothe, intitolato "Bloodlines"». Pubblicato in inglese meno di un mese fa dalla Harper Collins e già tradotto in francese, "Bloodlines" è ormai un caso editoriale in Canada e si sta valutando circa la possibilità di cedere i diritti per l'edizione italiana e spagnola.
Uno degli autori, Antonio Nicaso, condirettore del "Corriere canadese", esperto dei fenomeni di criminalità organizzata e consulente della polizia federale, spiega il perché di tanto successo: «Il libro racconta una nuova mafia, diversa rispetto a quella che la gente è abituata a vedere in tv - spiega Nicaso - Una mafia deterritorializzata, inserita nei grandi flussi finanziari, che agisce in un mondo senza più frontiere, spaziando attraverso Internet, e che non ha più bisogno di far ricorso allo slang per comunicare. Non bisogna dimenticare che stiamo parlando di una mafia non violenta, e che intesse rapporti strettissimi col mondo politico e finanziario». Come quelli sapientemente costruiti da una delle più potenti famiglie mafiose, ossia il clan Cuntrera-Caruana, la cui storia nel libro viene ricostruita, dai primi del Novecento fino all'arresto, avvenuto il 15 luglio del 1998, di Alfonso Caruana, rifugiato in Canada dopo la condanna a vent'anni di reclusione inflittagli in Italia. «Dalle collusioni con due presidenti della repubblica venezuelana - precisa Nicaso - a quelle con politici canadesi e all'episodio di Mannino, testimone di nozze di Maria Parisi, moglie di un cugino di Alfonso, la storia della famiglia Cuntrera-Caruana mostra chiaramente come funzioni la nuova mafia, la quale non ha alcuna difficoltà a instaurare contatti con ogni parte del mondo».
Ma chi è Alfonso Caruana? «Stiamo parlando - risponde l'autore - dell'ultimo degli intoccabili, il Grein Gresky della mafia. Lo stesso Giovanni Falcone nel 1989 aveva provato a spedirlo in carcere, sulla base delle dichiarazioni del pentito Joe Cuffaro. La sua storia comincia da Siculiana, paese di cinquemila abitanti dai muri bianchi di calce, vicino Agrigento. Da lì gli zii, in più ondate negli anni Cinquanta e Sessanta, si sono mossi alla volta dell'Europa centrale e delle Americhe, coinvolgendo nei loro affari uomini politici e banchieri pronti a tutto e investendo in seguito miliardi di dollari in Brasile, Venezuela, Messico. La fortuna di Alfonso Caruana comincia nel 1968, quando emigra in Canada, per poi spostarsi in Germania, in Svizzera, Gran Bretagna, e ritornare nel 1995 nuovamente in Canada. In quegli anni diventerà il regista di un traffico colossale di droga tra Europa, Sud America, in particolare Brasile, Panama, Colombia».
A questo proposito, la tesi sostenuta nel libro è che si deve proprio a Caruana il primo accordo storico con la ‘ndrangheta e la camorra per invadere l'Europa con quintali di cocaina colombiana. «Siamo arrivati a questa conclusione, grazie alle dichiarazioni di un collaboratore di giustizia, che adesso è il testimone chiave nel processo "Cartagine": si tratta di Oreste Pagano. Il quale dice di aver partecipato ad un incontro, nell'isola di Margherita, con Alfonso Caruana, un certo Scambia e un emissario dei cartelli colombiani; si tratta del primo grande meeting tra la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra e i colombiani. Adesso questa tesi è al vaglio degli inquirenti». Ma nel libro c'è un altro aspetto legato a Pagano: il giallo di Calvi. «A causa degli investimenti - continua Nicaso - fatti dalla mafia e dal Vaticano, Calvi doveva essere eliminato. Riina dà l'incarico a Francesco Di Carlo, adesso inserito nel servizio di protezione dei pentiti. Di Carlo ha ammesso di avere ricevuto questo incarico tramite Pippo Calò. A Roma però incontra un ex boss della camorra, che lo informa del fatto che Calvi era già stato sistemato dai napoletani. Questa nuova versione sull'omicidio è stata confermata da Pagano».