CANADA / LA GUERRA ALLA MAFIA NORDAMERICANA

La Piovra canadese

Quattro anni di indagini. Oltre 700 agenti impiegati. Risultato: sgominato il potente clan mafioso dei Rizzuto. Multinazionale globale del malaffare. Dalla Cina agli Usa

 


di ANTONIO NICASO


 

Rifondazione mafiosa international. Vecchi valori, vecchi cognomi ma affari che guardano al futuro e capitali che rimbalzano per tutto il pianeta fino a perdere l'odore dei narcodollari. Perché se bisogna costruire il domani, quale base migliore del Canada, una nazione da sempre a cavallo dei due mondi? Lì, adesso, si è creata una nuova rete, una sorta di centrale che mette in contatto padrini siciliani, calabresi e forse anche campani. Lì si progetta il sogno di tornare in Italia da protagonisti, mettendo le mani sulle opere più ricche a partire dal Ponte sullo Stretto. Lì si scommette sul Web, miniera d'oro del gioco clandestino. Lì nasce la globalizzazione dell'economia criminale. Ecco perché l'ultima inchiesta della Royal Canadian Mounted Police, l'Operazione Colosseo, ha avuto l'effetto di uno tsunami che si è propagato in fretta sulle due rive dell'Oceano. Per quattro anni 700 giubbe rosse della Rcmp hanno setacciato le attività della famiglia Rizzuto per far finire in manette il vecchio capobastone della mafia canadese, Nicolò (Nick) Rizzuto, 82 anni. Un padrino vero, di quelli che hanno segnato l'epica di Cosa nostra tra la Sicilia e le Americhe, costretto a tornare in prima linea dalle disastrose incursioni del figlio Vito, finito in un penitenziario statunitense.

Quella che le giubbe rosse canadesi hanno portato avanti è una sorta di partita a monopoli attraverso i continenti. Il cuore del circuito è un triangolo: Italia, Canada, Stati Uniti. Poi da lì il denaro parte per Haiti, Giamaica, Repubblica Dominicana, Colombia, Belize, Cuba, Messico, Aruba, Brasile, Venezuela, Svizzera, Inghilterra, Germania e Bahamas. Quattrini che nascono dal narcotraffico che alterna cocaina, hashish ed eroina tra Libia, Thailandia, Vietnam, Libano, Venezuela, Colombia, Messico e States. Ma poi entrano nel circuito legale delle imprese di costruzione, delle catene di ristoranti, degli alberghi a cinque stelle. Il tutto per un fatturato che era stimato dalle forze dell'ordine mezzo miliardo di euro l'anno, senza contare i frutti degli investimenti finanziari. Sempre passando da Montreal, dove già Meyer Lansky e Michele Sindona avevano imparato a ripulire i fiumi di dollari incassati da Cosa nostra con i primi trionfi del commercio di droga. Finché, sempre nel Québec, negli anni Ottanta i Cuntrera-Caruana non hanno capito che il modo migliore di gestire i soldi dell'eroina erano proprio i cantieri e le grandi opere. Una lezione che i Rizzuto hanno imparato bene.

Come Bernardo Provenzano, anche Nick, il vecchio capobastone, a Montreal comandava senza dare ordini. Ogni giorno, accompagnato dal genero Paolo Renda, incontrava Francesco Arcadi, l'uomo che coordinava le imprese criminali del gruppo. Voleva essere aggiornato su tutto, sulla droga in arrivo, sulle scommesse clandestine nei casinò della riserva indiana di Akwesasne, ora lanciate anche nei siti Web, sull'attività dei tanti 'soldati' che per lui erano disposti a tutto. Eppure a vederlo sembrava un innocuo vecchietto. "Come sta Tony? È sempre un bravo picciotto", chiedeva al fido Arcadi: "E quegli amici hanno pagato il materiale che gli abbiamo consegnato?". Le microspie della polizia federale, intanto, registravano. Lunghi colloqui, ma anche tanti silenzi. A volte bastava un cenno per intendersi.

Uomo di poche parole, Nick Rizzuto era nato contadino e anche in questo la sua vita ricorda quella di Provenzano. Aveva cominciato la sua carriera quando la mafia era ancora una questione di guardianie e latifondi. Inizia come campiere nelle terre del barone Agnello, nel feudo di Bissana, a Cattolica Eraclea, dopo aver sposato Libertina Manno, la figlia del capomafia del paese. La guerra era appena finita. L'Agrigentino, come il resto della Sicilia, era fango e pane nero. Nel 1955 venne ucciso il primo sindaco comunista del paese, Giuseppe Spagnolo, inviso al potentato fondiario e a Cosa nostra. Racconta Calogero Giuffrida, autore di un libro-inchiesta su quel delitto: "Gli assassini di Spagnolo si nascosero dentro la casa del boss Antonino Manno. Poi, travestiti da donna, andarono nella sacrestia della chiesa, dove i carabinieri non potevano entrare. Maria Spagnolo, giovanissima, capeggiò una manifestazione di protesta davanti alla parrocchia, per attirare l'attenzione dei carabinieri sui presunti assassini del padre. Ma i tre riuscirono a fuggire e a emigrare in Canada grazie all'aiuto dell'arciprete". Don Giuseppe Cuffaro, un anno prima dell'omicidio Spagnolo, si era prodigato per favorire anche l'emigrazione dei Rizzuto, certificandone la buona condotta. Nick, la moglie e i due figli, Vito e Maria, arrivarono in Canada il 21 febbraio del 1954. Proprio in quello stesso anno, a Montreal approdava anche Carmine Galante, luogotenente di Joe Bonanno ossia dello storico capo della cupola nordamericana.

Inizia così la saga dei Rizzuto che, negli anni successivi, si intreccia con quella dei Cuntrera-Caruana. Con un carattere unico rispetto alle vicende della madrepatria: in Canada calabresi e siciliani cercano di convivere nella stessa organizzazione. Non ci sono divisioni regionali e questo moltiplica la loro forza, ma crea anche contrasti. Quando Nick Rizzuto entra a far parte della 'filiale' canadese dei Bonanno, per esempio, il boss era Vic Cotroni, un ex campione di wrestling, originario di Mammola, in provincia di Reggio Calabria. E quando nel 1975, dopo decenni di incontrastato dominio, Cotroni decise di farsi da parte, gli successe Paul Violi, anch'egli calabrese, natura violenta e aggressiva dentro una scorza apparentemente bonaria e paciosa. I suoi modi non vennero accettati dai siciliani, i quali fino ad allora si erano riconosciuti in nome degli interessi comuni, nel carisma di Cotroni. Nick Rizzuto, alleato dei Cuntrera-Caruana, si sentì dire che avrebbe dovuto chiedere il permesso a Violi anche per fiatare. Gli interessi erano già enormi: secondo Tommaso Buscetta, che nell'inverno del 1970 trascorse un po' di tempo in Canada, i Cuntrera-Caruana già allora erano i maggiori esportatori di eroina dal Canada verso gli Stati Uniti. Una preda troppo ghiotta per obbedire. Fallite le mediazioni, nel 1972 Rizzuto entra in conflitto con i calabresi e fugge in Venezuela con la famiglia. Fu in quegli anni che la polizia di Montreal, attraverso intercettazioni ambientali nel bar di Violi, riuscì ad acquisire informazioni importanti su Cosa Nostra, sulla sua gerarchia e sull'esistenza in Sicilia di una commissione regionale. Un dossier che anticipava il cardine del maxiprocesso di Palermo, ma che per quasi dieci anni, rimase stranamente chiuso in un cassetto della questura di Agrigento.

Rizzuto affidò al cognato, Domenico Manno, l'incarico di vendicarlo. Nel 1978 Violi venne ucciso mentre giocava a carte in un bar della Petite Italie di Montreal. Da allora nessuno ha mai più messo in discussione il potere dell'ex campiere di Bissana, che affida la gestione degli affari al figlio Vito.

L'erede è intelligente, elegante, gioca a golf, parla quattro lingue, ma soprattutto sa come muoversi tra droga, diamanti, scommesse clandestine, investimenti immobiliari e commerciali, mercati finanziari, avvocati, commercialisti, broker e prestanomi. È un imprenditore globale: tratta tutto e dovunque. In poco tempo trasforma la mafia di Montreal in una holding internazionale. L'hashish arriva dal Pakistan e dal Libano, l'eroina dall'Asia e dalla Sicilia. Vito collabora con la mafia irlandese, la cosidetta West End gang, guidata da Richard Matticks, ma anche con le triadi cinesi, i cartelli colombiani, gli Hells Angels, le famigerate bande di motociclisti. Tra il 1988 e il 1990, per due volte viene arrestato e prosciolto dall'accusa di traffico di droga. Si guadagna così il nomignolo di 'Teflon Don': un boss impermeabile alle accuse, che gli scivolano addosso come la pioggia sul Teflon.

Eppure l'attività criminale è come un fiume carsico, che alimenta investimenti leciti tutti rivolti al futuro. Le giubbe rosse se ne rendono conto nel 1990, quando creano un'agenzia sottocopertura per infiltrarsi nel giro del riciclaggio. In quattro anni, l'ufficio cambi messo su dalla polizia federale effettua operazioni per circa 123 milioni di euro: incastrano i fedelissimi del boss, ma non arrivano a lui. Poi, nel 1994, la madre di Vito Rizzuto, Libertina Manno, viene arrestata in Svizzera con l'accusa di riciclaggio di denaro sporco, mentre cerca di prelevare dei soldi da un conto aperto presso la banca del Credito Svizzero di Lugano, intestato a un prestanome. In quegli stessi anni, Rizzuto viene contattato da un generale che vanta crediti nei confronti di Ferdinando Marcos, per recuperare il tesoro dell'ex dittatore filippino. Insomma, sembra intoccabile e sembra avere amicizie potenti ovunque. Dal 1987 al 2002 riesce a eludere nove indagini della polizia canadese. Finisce in manette solo quando negli Stati Uniti comincia a vuotare il sacco Salvatore Vitale, cognato di Joseph Massino, il boss della famiglia Bonanno. Altri cinque collaboratori confermano le testimonianze di Vitale e così Vito Rizzuto per ordine dell'Fbi viene arrestato il 20 gennaio del 2004 per concorso in triplice omicidio, uno degli episodi più efferati della faida scoppiata all'interno della famiglia Bonanno. Non un delitto qualunque, ma un massacro ricostruito anche nel film 'Donnie Brasco', con Al Pacino e Johnny Depp.

Il racconto del pentito Frank Lino è inquietante: descrive all'Fbi una visita fatta in Canada per aggiornare i Rizzuto sul cambio di guardia al vertice del clan Bonanno. L'incontro avviene durante la partita di baseball tra i New York Mets e gli Espos a Montreal. Lino sostiene di aver incontrato, tra gli altri, in quella occasione, anche Alfonso Gagliano, ex ministro dei lavori pubblici canadese, originario di Siculiana, il paese dei Cuntrera-Caruana. Anzi, all'Fbi dichiara che il potente uomo politico gli era stato presentato come uno degli affiliati alla famiglia Rizzuto. Gagliano, che non è stato mai indagato dal momento che in Canada non esiste il reato di associazione a delinquere, ha smentito categoricamente le dichiarazioni di Lino. Ma Gagliano venne chiamato in causa anche per le credenziali fornite come ministro al presunto killer di Giuliano Guazzelli, il maresciallo dei carabinieri assassinato nel 1992 ad Agrigento: ovviamente il sospetto sicario era stato assunto in un'azienda dei Rizzuto.

Perché i Rizzuto non hanno mai dimenticato la Sicilia. E mentre è in una cella canadese in attesa di venire consegnato all'Fbi, contro di lui si muove anche la magistratura italiana che nel febbraio 2005 lo accusa di riciclaggio di denaro sporco. A Roma, viene arrestato dalla Dia Giuseppe Zappia, un anziano ingegnere che negli anni '70 è stato coinvolto in una inchiesta per presunte tangenti nella costruzione del villaggio olimpico di Montreal. In una telefonata intercettata, l'ingegnere dice di avere pronti 5 miliardi di euro per la costruzione del ponte sullo Stretto. Evita di incontrare Rizzuto e per comunicare con il boss utilizza un intermediario, Filippo Ranieri: "Se tutto va bene", lo rassicura, "farò il ponte di Messina. Poi faremo tornare in Italia l'amico (Rizzuto, secondo gli inquirenti), ma prima bisogna accontentare sia la mafia che la 'ndrangheta".

È una vera mazzata per i Rizzuto. La loro debolezza viene sfruttata dall'Fbi, che raccoglie nuove rivelazioni: questa estate sbaraglia anche l'ultima difesa del boss e ottiene il trasferimento nella prigione statunitense. Persino il fisco gli fa le pulci e reclama 5 milioni di dollari per l'evasione delle tasse sui fondi nascosti in Svizzera. Il vecchio padre è costretto a tornare in prima linea, ma il clan incassa colpo su colpo. Fino alla retata della scorsa settimana, con 90 mandati di cattura e molti insospettabili nel mirino. Ci sono due agenti della dogana e diversi impiegati dell'aeroporto internazionale di Montreal, accusati di facilitare il transito dei carichi di droga: le giubbe rosse in Venezuela scoprono un container con 1.300 chili di coca pronto a prendere il volo. Ci sono poi le scommesse, più o meno clandestine, su Internet, prima attraverso un server in Belize e poi con un altro in una riserva indiana lungo il confine con gli Stati Uniti: solo sul Web smistano 26 milioni di dollari in pochi mesi. Nuove frontiere, vecchi padrini: don Nick ha accolto la polizia con il sorriso. Si è indispettito solo davanti alle telecamere: "Che succede!", ha urlato in italiano, fedele alle sue tradizioni che temono la pubblicità più delle manette.

L’Espresso, 1 dicembre 2006